sabato 10 marzo 2012

Archaeologists Protest 'Glamorization' of Looting on TV


E' il caso di esclamare "incredibile ma vero"! Negli Stati Uniti succede anche questo: il mondo dei reality ha invaso il campo dell'archeologia, addirittura rendendo protagonisti di due programmi televisivi dei veri e propri "tombaroli", filmati mentre compiono le loro eroiche gesta, alla ricerca di tesori che li renderanno ricchi e famosi. Se non c'è da stupirsi che ciò possa essere l'invenzione malsana di una qualsiasi televisione privata, si resta interdetti nel sapere che uno dei canali che metterà in onda questa sorta di reality sarà il National Geographic! Gli archeologi americani sono in rivolta e non possono che contare sulla solidarietà dei colleghi di tutto il mondo oltre che di ogni persona di buon senso. A questo punto bisogna riabilitare il vecchio archeologo Indiana Jones che almeno pretendeva che i reperti archeologici fossero custoditi nei musei! Mala tempora currunt...
(Caterina Pisu)


Archaeologists are mounting a campaign against two new cable TV shows that they say encourage and glamorize looting of American archaeological sites.
On 20 March, Spike TV will premiere a new show called American Digger, while a show called Diggers on the National Geographic Channel made its debut 28 February. Both shows "promote and glorify the looting and destruction of archaeological sites," Society for American Archaeology (SAA) President William F. Limp wrote in a message posted earlier this week to the SAA listserv.
The premise of American Digger, which is being hosted by a former professional wrestler, was laid out in a recent announcement by Spike TV. A team of "diggers" will "scour target-rich areas, such as battlefields and historic sites, in hopes of striking it rich by unearthing and selling rare pieces of American history." Similar locales are featured in National Geographic's Diggers. In the second episode, set in South Carolina, Revolutionary War and War of 1812 buttons, bullets, and coins were recovered at a former plantation.
After viewing the first two episodes of Diggers, Iowa's State archaeologist John Doershuk posted a review to the American Cultural Resources Association listserv, in which he lamented: "The most damaging thing, I think, about this show is that no effort was made to document where anything came from or discussion of associations—each discovered item was handled piece-meal."



"It was ironic that they [the show's on-air diggers] are destroying the entire basis of what they're interested in," Doershuk told Science Insider by phone. "These are non-renewable sources. There's only so many of them from these time periods."
The archaeological community is trying to make its views known. In addition to Facebook petitions, professional societies such as SAA have sent letters of condemnation to Spike TV and National Geographic. (Copies of the SAA letters are on its Web site.) Limp said Tuesday on the SAA listserv that Spike TV had not yet responded to its concerns. He wrote that National Geographic indicated that it would place a disclaimer into its show that affirms there are laws in place protecting archaeological and historic sites.
Despite the treasure-hunting theme of both shows, neither appears to be violating federal and state regulations against unlawful obtainment of antiquities. The on-air fortune seekers are not venturing into National Parks or other federal lands, but dig on private property. If property owners sign off, then it is legal--landowners can do whatever they choose with artifacts found on their land. That's the argument Shana Tepper, spokesperson for Spike TV, made to ScienceInsider. "Our show is shot on private property," she said. "They're getting artifacts that are otherwise rotting in the ground."
But archaeologists remain concerned. "These programs encourage looting," University of Colorado, Boulder, archaeologist Steve Lekson wrote in an e-mail to ScienceInsider. National Geographic's imprimatur also rankles some. "Its reputation as a credible scientific and educational institution" effectively "normalizes" the looting aspect of its show, says Washington State University archaeologist William Lipe.
Lekson bemoans the yawning gap between the scientific approach to archaeology and the popular notion that the discipline is basically organized treasure hunting. In the United States, that perception dates back to the late 1800s and early 1900s, when museums sponsored field expeditions to dig up Native American ruins. That ethos quickly gave way to the modern science of archaeology, which developed a set of ethics and practices that shunned its exploitative roots. But popular culture clings to the treasure hunting mythos.
"Two hundred years ago, archaeology was a treasure hunt—finding fabulous things for museum collections," says Lekson. "But we learned long ago that archaeological sites were really books to be read, pages of history. We can learn a great deal about pasts we would otherwise never know, by studying sites themselves and artifacts (simple or spectacular) in their original contexts at sites. When treasure hunters loot sites, ripping artifacts out of the ground, we lose any chance of understanding context—what was with what, its date, how it was used, what it can tell us about history—all so somebody can have a trinket on their mantelpiece."

Extrac from ScienceInsider

Versione italiana

GLI ARCHEOLOGI PROTESTANO CONTRO L'ESALTAZIONE DEL "SACCHEGGIO" DI REPERTI ARCHEOLOGICI IN TELEVISIONE

Gli archeologi USA stanno organizzando una campagna contro due nuovi spettacoli televisivi via cavo che incoraggerebbero e spettacolarizzerebbero il saccheggio di siti archeologici americani.
Il 20 marzo prossimo la Spike TV presenterà in anteprima un nuovo spettacolo chiamato American Diggers, mentre uno spettacolo chiamato Diggers sul National Geographic Channel ha fatto il suo debutto già lo scorso 28 febbraio. Entrambi gli spettacoli  "promuoverebbero ed esalterebbero il saccheggio e la distruzione di siti archeologici," come il Presidente della Society for American Archaeology (SAA), William F. Limp, ha scritto in un messaggio postato all'inizio di questa settimana sulla Mailing-list della SAA.
La presentazione dell'American Digger , che viene condotta da un ex wrestler professionista, è avvenuta in un recente annuncio sulla Spike TV. Un gruppo di "cercatori" dovrà perlustrare i siti ritenuti più idonei, per esempio noti campi di battaglia o altri siti storici, nella speranza di diventare ricchi dissotterrando e vendendo pezzi rari della storia americana." Qualcosa di simile è presente anche in Diggers del National Geographic. Nel secondo episodio, ambientato in South Carolina, in una piantagione sono stati recuperati vari oggetti risalenti alla Guerra d'Indipendenza del 1812, tra cui bottoni, proiettili e monete.
Dopo aver visto i primi due episodi di Diggers, l'archeologo John Doershuk dello Stato dell'Iowa, ha pubblicato una recensione sulla Mailing-list dell'American Cultural Resources Association, in cui lamentava che "la cosa più dannosa, credo, di questo spettacolo è che non è stato fatto nessuno sforzo per documentare da quale contesto tutto ciò è venuto alla luce e quali associazioni di oggetti sono state rinvenute nel corso dello scavo, mente ogni elemento scoperto è stato maneggiato e considerato singolarmente senza tenere conto di ciò".
"E' ironico osservare che questi "scavatori" dello show televisivo stanno distruggendo le basi della loro stessa ricerca" ha detto Doershuk, di ScienceInsider, per telefono. "Si tratta di fonti non rinnovabili. Nonostante quelle che ci giungono da queste fasi storiche siano numerose".
La comunità archeologica sta cercando di far conoscere il suo punto di vista. Oltre alle petizioni su Facebook, alcune società professionali, come SAA, hanno inviato lettere di condanna a Spike TV e National Geographic. (Copie delle lettere SAA sono sul loro sito web ufficiale). Martedì scorso Limp ha detto sulla Mailing-list del SAA che Spike TV non aveva ancora risposto alla lettera in cui erano state espresse le preoccupazioni sopra descritte. Il National Geographic ha riferito che renderà visibile una dichiarazione di non responsabilità durante la trasmissione per informare il pubblico che sono in vigore delle leggi che proteggono i siti storici e archeologici.
Nonostante la caccia al tesoro sia il tema di entrambe le trasmissioni televisive, non sembra che siano state violate le norme federali e statali contro il recupero illecito di antichità. Gli scavatori televisivi non si avventurano in parchi nazionali o in altre terre federali, ma scavano su proprietà private. Se i proprietari degli immobili danno il loro consenso, allora lo scavo è legale - i proprietari terrieri possono fare ciò che desiderano con i reperti trovati sulla loro terra. Questa è la giustificazione addotta da Shana Tepper, portavoce di Spike TV, inoltrata a ScienceInsider. "La nostra trasmissione è stata girata in una proprietà privata", ha detto. "Si tratta di artefatti che altrimenti marcirebbero nella terra".
Ma gli archeologi sono preoccupati. "Questi programmi incoraggiano il saccheggio," come l'archeologo Steve Lekson, della University of Colorado, Boulder, ha scritto in una e-mail a ScienceInsider. L'imprimatur del National Geographic brucia anche un po'. "La sua reputazione di istituzione scientifica e didattica credibile", ufficializza in qualche modo e "normalizza" il carattere di saccheggio del suo show, dice l'archeologo William Lipe della Washington State University.
Lekson lamenta il divario tra l'approccio scientifico dell'archeologia ufficiale e lo svilimento popolare che riduce la disciplina a una caccia al tesoro. Negli Stati Uniti, questa percezione risale alla fine del 1800 e aiprimi anni del 1900, quando i musei iniziarono a finanziare  spedizioni sul campo per recuperare reperti tra le rovine dei nativi americani. Questa abitudine rapidamente cedette il passo alla moderna scienza dell'archeologia, che ha sviluppato una serie di principi etici e di comportamenti tesi ad evitare lo sfruttamento della ricerca archeologica. Ma la cultura popolare si aggrappa ancora al mito della caccia al tesoro.
"Duecento anni fa l'archeologia era una caccia al tesoro tesa al recupero di oggetti favolosi per le collezioni dei musei", dice Lekson. "Ma abbiamo imparato da tempo che i siti archeologici sono veramente libri da leggere, pagine di storia. Possiamo imparare molto sul passato che altrimenti non potremmo sapere, semplicemente studiando i siti stessi e i reperti (dai più semplici ai più preziosi) nei loro contesti originali. Quando i cacciatori di tesori rapinano i siti archeologici, strappando letteralmente i manufatti fuori dalla terra, perdiamo ogni possibilità di comprensione del contesto, la possibilità di datarlo, elementi che ne facciano capire l'utilizzo e ogni altro dato che ci può raccontare la storia, tutto questo in cambio della soddisfazione di alcuni di esporre un oggetto antico su una mensola della propria casa".

 Tratto da ScienceInsider

venerdì 9 marzo 2012

Come migliorare il giornalismo archeologico

 

Riporto qui un'interessante riflessione tratta dal blog "rogueclassicism":

 Improving Archaeological Journalism

Tip o’ the pileus to Kristina Kilgrove, who alerted us to a very interesting post in the Guardian: Nine ways scientists can help improve science journalism.
I reproduce the ‘meat’ article below, but encourage folks to read the original. In what follows, I’ve changed all instances of “science” to “archaeology” and “scientist” to “archaeologist” … and the advice is still really good! Here’s the salient bits:
Ways scientists can improve science archaeological journalism:
1. Watch what you release
In the balance between carefully reporting science archaeology and courting interest, we believe many press releases push the latter too far. We can help journalists by stating limitations and highlighting danger points in interpretation where an untrained eye might confuse correlation with causation, or absolute and relative risks.
Doing so requires us to place public understanding of science archaeology above our own vanity and pressure to achieve impact.
2. Reach out
For us this debate has highlighted the degree of separation between science archaeology and journalism, with neither world understanding in any detail the nature of the other. So let’s get to know each better and destroy the “ivory tower” myth.
3. Be there
How many of us ensure we know exactly when our press release will be made public and make time in our diaries for interviews? The reality is that if we are unavailable in the 48 hours following the press release then the ship may have sailed, or sunk. Science Archaeology may grow like a bristlecone pine but most news stories are mayflies.
4. Be prepared
Media training courses are important, but so is common sense. Key quotes can be prepared in advance of interviews. Advice from non-experts can help recognise and eliminate jargon.
5. Think big
We must accept that accuracy is relative. Scientists Archaeologists already know that their own peer-reviewed articles routinely include what other scientists archaeologists would regard as oversimplifications. Journalists need us to shift our mindset to the perspective of the layperson and question whether a particular detail or caveat is necessary to convey the broader importance of the work. For a vital caveat, be ready to explain clearly why it is part of the big picture.
6. Think blog
Blogs are often regarded as an alternative to PR and commercial media, but they may also be useful as extra resources for journalists. If a journalist doesn’t understand your press release or journal article and can’t get you on the phone, they could refer to your blog for detail and FAQs. As successful blogs show, this bridge can be highly valuable. We’ve tried this with an expanded version of the current article.
7. Make it public
Scientists Archaeologists face unrelenting pressure to publish in the most respected journals, placing much science behind paywalls.
The ethical concerns this raises, especially for publicly funded science archaeology , have been underlined at length (see for example here, here, and here).
We can post our articles on our websites but a coordinated move to open access publishing may require changes in government policy .
8. Watch your neighbourhood
When things go wrong, act. We must take the time to challenge misreporting of our own research and other work in our fields. Many scientists archaeologists are apathetic about misreporting, either laughing it off or resenting it – but then doing nothing about it. Equally important is to challenge pseudoscience or exaggerated claims in our own fields. Bad science archaeology has no better ally than silence from good scientists archaeologists.
9. Get the facts
Argument is no substitute for evidence. Most scientists archaeoloists are not experts in journalism studies, but that shouldn’t stop us from teaming up with the experts and doing research on how our area of science archaeology is represented in the media. We have just embarked on research in our own field to assess the accuracy of press releases and news stories, and the attitudes of scientists toward them. We would encourage more scientists archaeologists to do the same.
We might note in passing that #8 is especially important because the most sensational reports we seem to deal with purposely seem to be inverting the last line (i.e. putting vanity and pressure to achieve impact above (genuine) public understanding of archaeology) …

giovedì 8 marzo 2012

L'Archeologia femminista

di Caterina Pisu




Non molti conoscono l'esistenza dell'Archeologia femminista. Si tratta di una branca della archeologia teorica che critica le posizioni spesso androcentriche dell'archeologia tradizionale, cercando di ricostruire il reale ruolo delle donne nelle società preistoriche e arcaiche, evitando le influenze degli stereotipi, delle distorsioni e dei pregiudizi moderni. Questo tipo di studi nasce circa trent'anni fa, sul solco dell'archeologia processuale e in corrispondenza con lo sviluppo del movimento femminista degli anni '70. Non tutti accettano la definizione "femminista" data a questa branca di studi archeologici, proprio per timore che si accolgano posizioni politiche e ideologiche nell'ambito della disciplina archeologica. Le più note esponenti dell'archeologia femminista sono Janet Spector (1944-2011, USA), Ruth Tringham (1940, England), Margaret W. Conkey (1943, USA) e Joan Gero (19?, USA), solo per citarne alcune. In Italia non sono nettamente presenti teorie femministe in ambito archeologico; non esiste, cioè, una branca specifica della disciplina, ma ricerche sul ruolo della donna nelle società preistoriche ed arcaiche sono sempre state condotte nell'ambito dell'archeologia tradizionale o della New Archaeology, che pure ha inciso relativamente nel nostro Paese. Anna Maria Bietti Sestieri è forse una delle poche archeologhe che ha indirizzato i suoi studi anche su questi temi, sebbene non esclusivamente sul ruolo femminile nelle società preistoriche, ma considerando anche questo aspetto in un quadro di ricerca più generale di tipo socio-etno-antropologico. Famosi sono i suoi studi sulla necropoli protostorica laziale di Osteria dell'Osa.

mercoledì 7 marzo 2012

The British Museum and Prof. Munakata

Extract from: newscientist.com

by Cian O’Luanaigh

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(Image: copyright Hoshino Yukinobu and the British Museum)

Missing artefacts, a 200-year-old conspiracy, and a mysterious airship over London. Oh, and someone’s nicked Stonehenge...
Folklore and ethnology expert Professor Munakata Tadakusa certainly has his work cut out in Professor Munakata’s British Museum Adventure, the latest collection of comics from acclaimed manga artist Hoshino Yukinobu. Invited to give a talk at London's British Museum, he soon finds himself investigating a plot to steal museum artefacts and return them to their “rightful” owners.
Hoshino’s cloaked detective has been solving crimes for over two decades in one of Japan’s leading manga magazines - the fortnightly Big Comic. Professor Munakata’s British Museum Adventure is the sleuth’s first visit to the UK, the result of a collaboration between Hoshino and the British Museum, which in 2009 invited the artist to create a manga based on its collections.

Professor-Munakatacover.jpg
(Image: copyright Hoshino Yukinobu and the British Museum)

At times simplistic, at times wonderfully melodramatic (a dying curator whispers “Donate my collection…I will…become a part of the British Museum…”), Hoshino’s action-driven plot explores relations between Japanese and British researchers, the question of who really “owns” archaeological remains, and the debate about returning artefacts to their countries of origin.
In true manga style, Hoshino’s simplified character designs are set against hyper-realistic museum artefacts and intricately depicted landmarks, transporting me to London and allowing me to indulge my inner geek by mentally ticking off the artefacts I recognized from the Museum.
The original Japanese manga was published in 10 episodes over five months in Big Comic, allowing readers to digest clues, build tension in increments, and savor those well-placed cliffhangers at the end of each installment. Collecting these into one book warped the pace; story threads seemed hastily woven and the secondary characters lacked depth. Motives are secondary to action: a fatal sniper shot towards the end, for example, reeks of deus ex machina.
Professor-Munakata_colour.jpg
(Image: copyright Hoshino Yukinobu and the British Museum)

That said, the collection includes interesting extra content, including an interview with Hoshino on his research for the book - from visits to British archaeological sites to the minutiae of UK police uniforms. There is also an enlightening note on Japanese illustrative styles from graphic historian Timothy Clark. Professor Munakata’s British Museum Adventure is no great detective story, but it is an entertaining mix of archaeology and adventure. And in one scene an airship tries to drop Stonehenge on St Paul’s cathedral, which is definitely worth a look.