martedì 26 febbraio 2013

Nella culla dell’Europa




Intervista a David Lordkipanidze, direttore del Museo Nazionale della Georgia e scopritore dell’Homo georgicus, realizzata da Caterina Pisu e Konstantin Vekua per ArcheoNews (marzo 2012)



La Georgia, culla della civiltà occidentale, nel cui remoto passato sono radicati alcuni dei più affascinanti miti e leggende del mondo antico - Prometeo, gli Argonauti, le Amazzoni, per citarne alcuni – è, ora, una terra quasi completamente da riscoprire anche se in questi ultimi anni l’interesse generale per le preziose testimonianze storiche di questo paese si è notevolmente accresciuto. L’archeologia georgiana è una miniera di scoperte e numerose missioni internazionali, anche italiane, sono impegnate da anni in scavi e ricerche in varie parti del Paese: l’Università Ca’ Foscari di Venezia conduce scavi dal 2009 nella provincia georgiana di Shida-Kartli, nell’ambito di un progetto di ricerca su siti del IV e del III millennio a. C., in collaborazione con il Museo Nazionale della Georgia, il quale partecipa anche alla missione archeologica coordinata dall’Università di Firenze che ha in corso lo scavo del sito paleoantropologico di Dmanisi. La recente esposizione Il vello d’oro. Antichi tesori della Georgia, a Roma, nel Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano, ha contribuito notevolmente a far conoscere al più vasto pubblico il patrimonio archeologico georgiano. I reperti in mostra provenivano dal Museo Nazionale della Georgia. A questo museo, il più importante del Paese, e al suo direttore, il Prof. David Lordkipanidze, si deve il notevole impulso dato in questi anni alla conoscenza della storia e della cultura georgiana. Lordkipanidze, antropologo e archeologo di fama internazionale, é l’autore delle ricerche che hanno condotto alla scoperta dell’Homo georgicus, precursore dell’Homo erectus; dal 2007 è membro della United States National Academy of Sciences e Fellow della World Academy of Art and Science. Il Prof. David Lordkipanidze ha gentilmente concesso ad ArcheoNews una breve intervista che riportiamo qui di seguito.

Prof. Lordkipanidze, lei dirige il Museo Nazionale della Georgia dal 2004. In  questi otto anni di gestione, a quali obiettivi, tra i vari che si è posto, ha voluto dare maggiore priorità?

I cambiamenti si stanno muovendo in tutte le direzioni. Prima di tutto ci siamo preoccupati di migliorare le condizioni di conservazione delle collezioni museali; inoltre abbiamo dato ampio impulso alla realizzazione di mostre; sono stati completamente rinnovati il Museo Storico, la Galleria nazionale ed il museo di Signaghi (città nella regione di Kakheti, Georgia orientale). E’ stato aperto il museo dell’area archeologica di Dmanisi (città al sud della Georgia con i suoi scavi paleontologici e non solo). In questo momento si stanno ristrutturando anche i musei di Svaneti (la regione più alta dell’Europa al nord della Georgia) e di Akhaltsikhe (città al sud della Georgia). Nel contempo si stanno progettando e realizzando alcuni progetti scientifici sia a livello nazionale che mondiale.

In campo educativo, quali strategie ha adottato il museo per avvicinare e coinvolgere il pubblico più giovane?

E’ stato creato un polo didattico che sta collaborando intensamente con le scuole. Sono stati elaborati progetti per le scuole superiori anche in collaborazione con le università di Firenze e di Ferrara. Vorrei evidenziare che nel museo dell’area archeologica di Dmanisi funziona la scuola estiva internazionale, i cui crediti sono riconosciuti nelle università degli Stati Uniti.

A suo parere, quali aspetti del sistema museale del suo Paese potrebbero essere migliorati?

Probabilmente sarebbe necessaria più partecipazione da parte della società.

Il Museo Nazionale della Georgia collabora con l’Italia e con altri Paesi esteri alla conduzione di varie missioni archeologiche. E’ previsto un proseguimento e un incremento di queste attività di scavo e di ricerca?

Ad alcuni progetti parteciperanno ancora sia studiosi italiani che di altri paesi; una missione archeologica georgiana è al momento attiva con successo in Kuwait.

Prof. Lordkipanidze, la ringraziamo per la disponibilità con cui ha accettato di rispondere alle nostre domande e le auguriamo un buon lavoro.

Il documentario archeologico guarda al futuro


Laboratorio di Comunicazione e Valorizzazione dei beni archeologici



di Caterina Pisu

In questi ultimi anni la documentaristica archeologica sta vivendo un periodo di particolare fioritura. Ce ne siamo accorti grazie a manifestazioni che hanno raccolto un buon successo anche presso il pubblico generalista, come la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto o, proprio lo scorso anno, il primo Festival del Cinema Archeologico di Pisa. Ed è proprio al grande pubblico che vogliono rivolgersi gli archeologi documentaristi, impossessandosi delle tecniche di comunicazione proprie dei mass media. Troppo spesso (e succede ancora oggi) i media hanno fatto da tramite tra archeologia e pubblico, cercando di semplificare ma talvolta anche di banalizzare o, peggio, di spettacolarizzare i dati oggettivi delle ricerche sul campo o delle indagini storiche. Ora, invece, ci sono Soprintendenze, come la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale, che da anni si sono dotate di un Laboratorio di Didattica e Promozione visuale[1], e ci sono nuove realtà che appartengono al mondo accademico, rappresentate, per esempio, dal Laboratorio di Valorizzazione e Comunicazione dei Beni Archeologici dell'Università IULM di Milano (Archeoframe). Nata nel 2007, Archeoframe svolge attività didattiche, progettuali e di sperimentazione sulla valorizzazione, la comunicazione, la divulgazione e la fruizione dei Beni Archeologici in Italia e nei Paesi del Mediterraneo. Il Laboratorio ha già realizzato diversi filmati e prodotti multimediali. All'attività di comunicazione e divulgazione affianca progetti di catalogazione e documentazione fotografica dei siti archeologici del Mediterraneo. inoltre, realizza progetti di valorizzazione e promozione di musei e aree archeologiche, avvalendosi non solo di archeologi e storici dell'arte, ma anche di professionisti e tecnici nei settori delle Scienze della Comunicazione, dell'Economia della Cultura, delle Scienze Turistiche, delle Relazioni Pubbliche. 
Focalizzando l’attenzione prevalentemente sulla attività documentaristica di Archeoframe, mi piace descriverne soprattutto il metodo con cui vengono realizzati i documentari. Essi sono concepiti come progetti didattici nell'ambito degli insegnamenti di archeologia delle lauree magistrali IULM. Sono gli stessi studenti universitari che, con l'aiuto dei docenti, di un regista, di operatori e montatori, partecipano attivamente alla preparazione del documentario. Il lavoro inizia con l'analisi del territorio e dei siti prescelti, per poi passare alla costruzione della sceneggiatura, alla scrittura dei testi, fino alle riprese, al montaggio e alla promozione del prodotto. Una vera scuola di documentaristica archeologica che certamente avrebbe entusiasmato Roberto Rossellini, antesignano della tradizione italiana in questo settore.
Archeoframe cura con particolare attenzione l’aspetto didattico della propria attività di produzione multimediale:  dal 2008 è stata avviata una collaborazione con l'Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell'Arte (ANISA), grazie alla quale vengono organizzati incontri e proiezioni dei documentari nelle scuole superiori a Milano e in Lombardia. Nel 2011, inoltre, è iniziato un progetto finanziato del MIUR per la divulgazione delle scienze nella ricostruzione del passato, in collaborazione con la Direzione Generale Scolastica Lombardia. Un’altra collaborazione per stage e progetti didattici è stata avviata con il Festival Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto e con il canale tematico web di Archeologia Viva, sul quale è possibile vedere i documentari archeologici IULM.
Fra i lavori più recenti si annoverano un documentario sui siti longobardi italiani iscritti nel 2011 nella World Heritage List dell’Unesco (I Longobardi in Italia. I luoghi del potere) e un documentario sul patrimonio archeologico della Lombardia riconosciuto dall’Unesco, dalle palafitte dei laghi alpini ai fasti di Milano paleocristiana.
Il team di Archeoframe, costituito da ricercatori, autori e registi, è guidato da Luca Peyronel, Professore Associato in Archeologia e Storia dell'Arte del Vicino Oriente Antico presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, dove è titolare degli insegnamenti di "Archeologia e Storia dell'Arte Antica", “Archeologia e Beni Culturali” e “Siti e modelli archeologici" nelle Facoltà di Arti e di Turismo. È membro del Comitato Scientifico della Fondazione IULM. Dal 1991 fa parte della Missione Archeologica Italiana in Siria, svolgendo la propria attività di ricerca in particolare nei siti di Tell Mardikh-Ebla e di Tell Tuqan.

Ulteriori informazioni sono sul portale http://www.iulm.it/

e sulla pagina Facebook:

http://www.facebook.com/pages/Laboratorio-di-valorizzazione-dei-beni-archeologici-IULM/




[1] Laboratorio che fa riferimento a Maurizio Pellegrini, autore di vari documentari visibili sul canale You Tube labdidpromvis.

domenica 24 febbraio 2013

Donne archeologhe? No grazie, archeologi e basta




di Caterina Pisu




In vista della festa dell’8 marzo, vorrei parlare di un fenomeno che, a mio avviso, ha qualcosa di preoccupante: il tentativo di far risaltare o in qualche modo “separare” la realtà femminile presente nei vari ambiti lavorativi e professionali: così fioriscono associazioni e/o movimenti di donne giuriste, medico, avvocati, imprenditrici, geometra e ora…anche archeologhe. Questi movimenti, in realtà, creano essi stessi le differenze, proprio perché tendono da un lato a far sembrare che le donne vivano in una continua condizione di inferiorità dall'altro a circondarle di una sorta di “aura sacra”, in virtù della quale si pretendono condizioni di privilegio rispetto ai colleghi uomini (per es. quote rosa e via dicendo).
Come donna la trovo un’idea molto stupida e anacronistica, così come lo è la “festa della donna” cui ormai siamo tutti abituati. Le donne valgono quanto un uomo, questo è un dato di fatto, ma poi ogni individuo dovrà dimostrare le qualità che possiede con le proprie uniche forze. E saranno uomini e donne insieme a pretendere che lo Stato promulghi leggi valide che tutelino tutti i lavoratori, senza distinzione di sesso, età, razza e religione, in qualsiasi particolare condizione di svantaggio si possano trovare.
Come ha detto la femminista (vera) Caitlin Moran, «il femminismo non è buddismo»  e, infatti, perché mai le donne dovrebbero fare corporazione? «Le donne sono il 52% della popolazione, è impossibile essere tutte d’accordo. Se gli uomini possono parlare male l’uno dell’altro, perché non possiamo farlo noi?». Una logica talmente ovvia da mettere immediatamente nell’ombra quelle che io chiamo le femministe demagoghe (e i femministi demagoghi), ovvero chi usa i problemi delle donne per attirare l’attenzione su di sé.  
E per finire ancora con le parole della Moran: «Basta con il femminismo come medicina da assumere a tutti i costi».